Il bassorilievo di Tolomeo Faccendi per Tullio Mazzoncini
print this pageOriginale in gesso già proprietà Mazzoncini, donato al Comune di Grosseto dalla famiglia in occasione della Gioranta della Memoria 2008 (una copia in bronzo è collocata presso la Loc. Campospillo in Magliano in Toscana)
Fregio dedicato ai deportati politici grossetani Etrusco Benci, Albo Bellucci, Beppino Scopetani.
Il fregio è stato realizzato alla fine degli anni quaranta da Tolomeo Faccendi, scultore grossetano attivo dagli anni Trenta, su commissione di Tullio Mazzoncini, che voleva ricordare due amici, Albo Bellucci e Beppino Scopetani, che condivisero con lui la drammatica vicenda della deportazione nel campo di concentramento di Mauthausen. Oltre a loro, Mazzoncini volle che il fregio ricordasse anche la drammatica vicenda di Etrusco Benci, impegnato nelle lotte politiche contro il nazi-fascismo prima in Spagna, poi nella Resistenza belga. Proprio in Belgio fu fucilato il 12 giugno del 1943.
Mazzoncini, unico sopravvissuto tra questi amici, volle ricordare il dramma con un’opera d’arte. Liberale grossetano, dopo un iniziale avvicinamento al fascismo, se ne allontanò per seguire il gruppo di amici repubblicani e comunisti, quasi tutti suoi compagni di giovinezza, che gli suggerirono di passare direttamente all’opposizione durante la Guerra di Spagna. Mazzoncini si avvicinò alla Resistenza, aderendo ai gruppi locali, adesione che gli costò l’arresto e la deportazione. Il fregio trae ispirazione dalla triste vicenda accaduta a Campospillo (Magliano in Toscana) nell’autunno del 1943, quando squadristi fascisti fecero irruzione nell’abitazione dei Mazzoncini e trovarono un ciclostile, la carta, le armi e altro materiale che dimostrava l’impegno e l‘opposizione antifascista praticata da questo gruppo di dissidenti. Albo Bellucci, Beppino Scopetani e Tullio Mazzoncini furono arrestati e, dopo una prima prigionia nei carceri di Siena e Parma, furono deportati a Mauthausen tra il 23 e il 24 giugno del 1944, dove, separati tra i lager di Gross Raming e Gusen, due di essi trovarono la morte.
Il fregio, collocato originariamente in una nicchia all’aperto di casa Mazzoncini, riporta le iscrizioni Albo Bellucci, Beppino Scopetani, Mathausen 1945; Etrusco Benci, Bruxelles 1943. La composizione è una lapide figurata divisa in due: la parte superiore riporta i nomi dei tre deportati, mentre in basso sono raffigurate figure e scene che rammentano le vicende. Nella parte inferiore scene divise simmetricamente raffigurano uomini straziati dalla sofferenza, richiamo alla disumana condizione dei campi di concentramento. La figurazione è costruita su due diagonali che hanno come punto di fuga il cielo, schermato dal muro che ne chiude l’orizzonte. La loro confluenza si incrocia su un ammasso di corpi senza vita. In primo piano si notano i deportati che, dal lato destro, lavorando in condizioni disumane, confluiscono verso il centro della scena, accasciandosi man mano che si avvicinano a quel mucchio di corpi senza vita posto nella piazza. Sul lato sinistro è presente una fila di soggetti scheletrici, la cui posa innaturale, reclinata in avanti con le braccia appese in alto, ricorda le crocifissioni di Cristo. Sopra di essi, separati da una linea di demarcazione, altri soggetti tentano la fuga inutilmente, cercando di scavalcare lo stesso muro che li separa dalla libertà. A unire visivamente le due scene, collocate simmetricamente in primo piano, sono presenti due figure, per le quali l’artista si ispira al mondo classico, con un evidente richiamo alle sculture ellenistiche del “Galata morente” e del gruppo statuario del “Laocoonte” confermando come Faccendi considerasse fondamentali i modelli classici nella sua formazione. Iniziato all’arte in modo poco più che artigianale presso la bottega del marmista grossetano Ivo Pacini, si dimostrò un fine interprete della cultura figurativa del tempo, con rielaborazioni della grande tradizione classica, tradotte con sensibilità tale da meritargli, unico tra gli artisti cittadini, di essere ammesso alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Faccendi fu sempre attento ai soggetti umili, alla loro espressività, ai loro dolori e sentimenti, elaborando immagini realizzate prevalentemente in terracotta, cera, gesso, bronzo e cemento, materie duttili che enfatizzavano gli aspetti veri dei suoi soggetti, quasi sempre di estrazione popolare.
Il fregio commissionato da Tullio Mazzoncini, è un omaggio all’uomo in senso universale, verso il quale Faccendi ha dimostrato sempre una grande sensibilità, come ci ricorda lo stesso Mazzoncini in un appassionato scritto, dedicato, post mortem, all’amico scultore, in cui ne esalta la dignità, l’amore per la vita, per gli uomini, per la natura, in un vero e proprio attaccamento francescano al creato. “Meo era un artista puro, istintivo, spontaneo e immediato, sorretto da intelligenza brillante e soprattutto da una struttura morale e religiosa monolitica. Gli era quasi impossibile indulgere alle mode, e tantomeno alla ciarlataneria: seppe fino alla fine essere fedele a se stesso, senza esitazioni e ripentimenti, con un rigore che non è certo l’ultimo tra i suoi meriti”.
(testo redatto dalla classe IV B a.s. 2014-2015 Liceo Artistico di Grosseto, indirizzo Arti figurative, che hanno lavorato sul bassorilievo di Tolomei Faccendi guidati dalla Prof.ssa Marcella Parisi)